Stupidità
Contro la
stupidità perfino gli dei lottano invano.
Schiller
Nella mia giovane impresa
lavorano persone di ogni età e di ogni genere. Non vorrei mai giudicarle o
classificarle, ma occorre che io riesca a distinguerle, per affidare l’incarico
giusto alla persona giusta nel momento giusto.
Tu
insisti sul concetto di giustizia, tuttavia l’imprenditore non è chiamato ad
amministrare la giustizia ma a gestire al meglio.
Impresa
e giustizia sont
deux mots qui ne vont pas très bien ensemble, per
dirla con i Beatles.
Quali parole stanno bene
insieme?
Gli
attributi che si addicono a chi lavora in un’impresa sono i più vari.
Indicami delle priorità.
Ci sono
due coppie di attributi che indicherei come prioritarie:
Indolenza-Laboriosità
e Intelligenza-Stupidità.
Conoscevo un imprenditore che
analizzava contemporaneamente due coppie di attributi per mezzo degli assi
cartesiani e s’ingegnava a collocare nello schema i suoi collaboratori. Però
non mi ricordo come faceva.
Lo
conosco: è un metodo che viene da ricercatori americani e può suggerire
combinazioni interessanti. Lo schema è questo:
|
Intelligente |
|
|
Indefesso |
1 |
2 |
Indolente |
4 |
3 |
||
|
Stupido |
|
Ciascun
quadrante corrisponde a una posizione che fa riferimento a due degli attributi,
ma con la possibilità di gradazioni diverse e pressoché infinite nelle diverse
aree del grafico.
Me lo puoi illustrare con
esempi?
Cominciamo
con l’identificare i quattro tipi di base:
Tipo 1 – Indefesso Intelligente.
È la
caratteristica dei grandi leader (Alessandro Magno, Giulio Cesare, Gengis Kahn,
Napoleone) e anche degli imprenditori (Bill Gates, Gianni Agnelli, Silvio
Berlusconi).
Non possono
stare inoperosi e raggiungono i loro obiettivi generando e seguendo una
visione, una missione e delle strategie chiare e forti, congiuntamente alla
capacità di entusiasmare e coinvolgere i collaboratori.
Un loro
punto debole consiste, spesso, nei collaboratori: invidia e parassitismo li
portano a tradire il leader (si
vedano Bruto, Talleyrand e… altri).
Appartengono
al tipo 1 anche molti professionisti che, in genere, rientrano nel tipo 2.
L’attivismo può procurare loro maggiori possibilità di successo, ma senza
garanzia.
Rientrano
nel tipo 1 anche alcuni dei collaboratori più preziosi per il leader, il quale,
normalmente e paradossalmente, non si preoccupa affatto di trattenerli né di
gratificarli: il leader si rende istintivamente conto che l’attività e la
dedizione dei tipo 1 sono bisogni personali inalienabili, che non necessitano
di incentivi.
Tipo 2 – Indolente Intelligente.
È la
caratteristica dei veri professionisti. Questi lavorano soprattutto per sé; collaborano,
ma non si sporcano le mani in imprese altrui, delle quali possono anche non
condividere gli obiettivi.
Non
sono coinvolti; hanno una visione tecnica e distaccata e non amano gestire
altre persone. Sono molto sensibili agli incentivi.
Essendo
pigri, tendono a non sprecare sforzi; ma sono anche intelligenti, e questo li
porta a pianificare con cura il loro lavoro e ad eseguirlo bene.
Il loro
motto è: lavorare bene o lavorare male è la stessa fatica; pertanto, non
facciamoci rimproverare o sollecitare. Sanno bene che non è importante lavorare
tanto, ma fare tanto lavoro, cioè ottenere i risultati.
Si
rendono conto del fatto che la differenza tra un lavoro passabile e uno
eccellente può essere minima, ma può essere la differenza tra successo e insuccesso.
E non si affaticano più del necessario. La differenza tra goal e palo è di 5
centimetri.
A
livelli di minore indolenza possono diventare mercenari.
Se il
leader incontra un individuo del tipo 2, gli assegnerà subito degli incarichi
direttivi, da colonnello, per i quali è adattissimo. Quelli del tipo 2 sono
ottimi pianificatori e, anche se non amano gestire altre persone, è per loro
pur sempre meglio che lavorare direttamente. Per i lavori da sergente potrà
sempre pescare tra i tipi 4, se riesce a ottenerne obbedienza.
Il
punto debole più insidioso per gli intelligenti è che, spesso, si credono
“troppo” intelligenti rispetto agli altri. Possono tendere a sottovalutare i
rischi e a “vivere di rendita” sulla fama raggiunta.
Si può imbrogliare tutti una
volta, uno tutte le volte, ma non tutti ogni volta.
Tipo 3 – Indolente Stupido.
Non è
utile né a se stesso né agli altri. Nelle organizzazioni tende a vivacchiare e
in genere si accontenta di quel poco che riesce a ricavarne.
Il suo
motto è: tu fai finta di pagarmi e io faccio finta di lavorare. E per questo
crede di essere furbo.
È una
situazione che si autoalimenta. In azienda questi personaggi vengono
identificati abbastanza velocemente (alcuni non sono neppure così intelligenti
da fingere durante il periodo di prova). La strategia Pay peanuts, get monkeys (ossia:
paga noccioline e in cambio ottieni scimmie) si applica nei loro confronti ma
al contrario: Got monkeys? Pay peanuts (ossia: se hai attorno delle scimmie,
non sprecare denaro, bastano le noccioline).
Un’organizzazione
che vuole avere un minimo di successo non dovrebbe sopportare a lungo questi
tipi, ma non c’è fretta di cacciarli: il massimo danno che possono arrecare è
costituito dal loro stipendio.
Tipo 4 – Indefesso Stupido.
A
livelli estremi, è la maggior disgrazia che possa capitare. I danni che può
provocare sono incalcolabili, incluso il costo delle energie che occorre
spendere per tenerlo sotto controllo.
Dicono
che sia meglio avere a che fare con un farabutto che con uno stupido. Sante
parole. Il farabutto ogni tanto si riposa, mentre lo stupido lo è 24 ore su 24.
E se fa l’indefesso, non smetterà di prendere iniziative, sconfinando in campi
altrui, facendo danni imprevedibili.
Per
un’organizzazione può essere cruciale sbarazzarsene al più presto, magari
deviandolo verso un concorrente.
Tuttavia,
se è talmente stupido da limitarsi a eseguire gli ordini senza alcuna
iniziativa, diventa un buon sergente. Ogni organizzazione ne ha bisogno.
Il
problema è identificare questi tipi in tempo utile, infatti, nel primo periodo
di collaborazione si tende ad apprezzarne la dedizione al lavoro e ad
attribuirne gli errori all’inesperienza piuttosto che alla stupidità.
Ho capito. Non ci sono qualità
positive o negative in assoluto, ma ciò che conta è la miscela.
Non è
detto che essere indefesso sia sempre una virtù, se si fanno solo danni.
D’altro canto, l’indolenza può portare ad aguzzare l’ingegno.
Non è
detto che l’intelligenza di per sé sia un valore positivo: dipende da come la
si usa. Un delinquente “deve” essere più intelligente di un onesto, se vuole
avere qualche speranza di cavarsela.
La
stupidità, invece, non si miscela bene con nessun’altra qualità.
Come definiresti la stupidità?
È difficile
da definire. Può essere incompetenza o incuria o mancanza di visione. Può
essere semplicemente definita come attitudine a fare danno, agli altri, ma
anche a se stessi.
Nella
tua impresa analizza gli individui in funzione della loro attitudine ad arrecare
danni, e vedi la relazione che intercorre con la stupidità.
Puoi
usare uno schema come questo (ma bada a non incasellare nessuno in modo
definitivo):
Si
possono identificare altri quattro tipi:
A chi avvantaggia solo se stesso,
senza danneggiare gli altri (caso improbabile);
B chi
avvantaggia solo gli altri, senza vantaggio personale (altruista);
C chi danneggia solo gli altri,
senza vantaggio personale (invidioso, vandalo);
D chi danneggia solo se stesso
(piuttosto stupido).
Poiché le persone in genere
sono più complicate di così, la combinazione degli elementi a due a due
permette di identificare almeno altri quattro tipi, più complessi:
AB chi avvantaggia se stesso e gli
altri (benemerito della società).
AC chi avvantaggia se stesso danneggiando
gli altri (egoista senza scrupoli, talvolta criminale).
BD chi avvantaggia qualcuno,
danneggiando se stesso (ingenuo o sprovveduto).
CD chi danneggia gli altri senza
alcun vantaggio personale, o, addirittura, danneggiando anche se stesso
(davvero stupido).
Definendo
la stupidità come attitudine a fare danno si nota un parallelismo interessante
tra stupidità e male, se definiamo il male come “l’arrecare sofferenza a
qualcuno”.
Ma cos’è la sofferenza se non
un danno? La stupidità sarebbe un male?
Sembrerebbe
di sì, riesaminando il caso AC. Occorre tuttavia considerare che il grado di
responsabilità morale del criminale e dello stupido o dell’ingenuo sono
differenti, mancando in questi ultimi l’intenzionalità, anche se il danno può
essere altrettanto grave.
Anzi,
la frustrazione per il danneggiato può essere ancora maggiore: posso capire che
qualcuno mi rubi il portafoglio ma non posso accettare che qualcuno me lo butti
via, pieno di quattrini, perché l’ha visto sporco, magari offrendomi in regalo
il suo nuovo!
Applicherò queste idee, ma
senza rigidità. Anche perché mi sono convinto che ogni collaboratore possa
trovare il lavoro adatto in azienda.
Non
dobbiamo mai infierire. Non dimentico mai gli stupidi nelle mie preghiere. Se
non ci fossero loro, se il mondo fosse popolato da premi Nobel, forse non avrei
trovato impiego neppure per lavare i vetri.
Del
resto, stupidi e intelligenti stanno esattamente nella proporzione giusta.
Il
quoziente medio di intelligenza, così come viene comunemente definito, è posto
convenzionalmente pari a 100 seguendo il criterio che il 50% della popolazione
si trova sotto e l’altro 50% sopra quel valore. Per definizione. È il concetto
statistico di mediana, non di media.
Quindi
come giudicheresti quel presidente degli Stati Uniti rimasto sgomento quando
qualcuno gli ha detto che “ben metà” degli americani non raggiunge un QI pari a
100?
In ogni minoranza di intelligenti c’è
una maggioranza di imbecilli.