Teoria del Tutto

La Teoria del Tutto

Centinaia di scienziati al lavoro,
esperimenti, nuove ipotesi.
Mai come oggi si è vicini alla chiave
per svelare i segreti del Cosmo.

Anticamente i filosofi non avevano una visione unitaria della realtà: notavano la regolarità del movimento di stelle e pianeti e l’imprevedibilità degli avvenimenti sulla Terra, come gli incendi e i temporali. Cercavano di inquadrare tutto ciò in uno schema filosofico o in una religione con un Dio capace di conoscere ogni angolo del cosmo. Ma fu soltanto nel ‘600 che Isaac Newton, per primo, scrisse le formule matematiche che unificavano i fenomeni terrestri (il peso) e quelli celesti (il movimento dei pianeti).

Tutto in una teoria
Da allora, i fisici hanno cercato con sempre più convinzione una "Teoria del Tutto" capace di descrivere l’intera realtà, dall’origine del Cosmo al mistero dei buchi neri. Einstein inseguì questo sogno, invano. Ma oggi sono stati fatti passi avanti decisivi in questa direzione, definita il "‘Sacro Graal" della fisica: sono state "unificate" 2 delle 4 forze della natura.
Ed è stato ipotizzato il "Principio Olografico", che ha aperto nuove strade alla ricerca: il cosmo sarebbe la proiezione 3D di un mondo piatto. Se le nuove teorie sono fondate, viviamo in una realtà ricca di dimensioni nascoste, nelle quali potrebbero esistere mondi paralleli che forse un giorno raggiungeremo. Con conseguenze, anche filosofiche, di grande impatto.
Un sogno? Sì. E ci stanno lavorando le menti più brillanti della nostra generazione.

Granuli indivisibili. O corde vibranti.
Per spiegare l’intera realtà
occorre cambiare il modo in cui
pensiamo a spazio e tempo.

Stiamo per vivere una svolta epocale? Probabilmente sì:

«La situazione della fisica di oggi assomiglia a quella di un secolo fa, quando eravamo disorientati dalla scoperta della radioattività». E questo è di buon auspicio. Parola del premio Nobel David Gross direttore dell’Istituto Kavli per la fisica teorica all’Università della California (Usa).

La sua dichiarazione ha concluso la 23a conferenza Solvay, il 3 dicembre 2005 a Bruxelles. Qui era riunito il meglio della fisica teorica mondiale: 60 scienziati, tra cui 5 premi Nobel, chiamati a fare il punto sugli sviluppi della "Teoria del tutto". Nel 1911, ricordava Gross, gli scienziati riuniti alla prima conferenza Solvay (c’era anche Einstein) erano in crisi di fronte al fenomeno della radioattività.

Ma quella crisi portò alla comprensione dell’atomo che ha rivoluzionato le nostre idee sulla materia... E oggi? Si punta a rivoluzionare i concetti di spazio e di tempo ben oltre quanto abbia già fatto Einstein.

Più piccolo non si può
La strada da percorrere non è ancora chiara, ma si sono già fatti passi avanti. E oggi una cosa è certa: il punto di partenza sono le porzioni più piccole di spazio e di tempo che si possano concepire. Forse da qui sarà possibile costruire una teoria capace, come nessuna finora, di spiegare tutto l’universo e tutte le forze che vi agiscono: la Teoria del tutto, appunto.

Fino a un secolo fa, si pensava allo spazio come a qualcosa di fisso, a un grande contenitore che racchiude tutte le cose. «Einstein dimostrò che lo spazio può cambiare forma, piegarsi, distorcersi» dice Brian Greene, docente di fisica all’Università Columbia di New York (Usa) e autore del best-seller L’universo elegante (Einaudi). La Teoria della relatività di Einstein va benissimo per descrivere il mondo delle galassie. Ma diventa problematica se si guarda "nel piccolo". I problemi sorgono cioè se si immagina di raggiungere le dimensioni della "lunghezza di Planck", la più piccola distanza di cui abbia senso parlare: è pari a circa 10-33 cm (cioè 0,000...01 cm, scritto con 33 zeri) ed è, in proporzione, molto più piccola rispetto a un atomo di quanto lo sia un uomo rispetto all’universo.

Previsioni... imprevedibili
Per capire ciò che accade se si cerca di misurare distanze così piccole, bisogna ricordare che nel mondo microscopico valgono le leggi della meccanica quantistica e il cosiddetto "Principio di Indeterminazione", secondo il quale non si possono mai conoscere con precisione sia la posizione, sia la velocità di una particella. Le particelle sono, infatti, soggette a fluttuazioni quantistiche, cioè a variazioni imprevedibili di posizione, velocità, energia.

«Secondo il principio di indeterminazione, le fluttuazioni aumentano quanto più si cerca di osservare distanze piccole e tempi brevi» spiega Greene. Su distanze e tempi infinitamente piccoli come la lunghezza di Planck (10-33 cm) e il tempo di Planck (10-43 secondi), ci sarebbero fluttuazioni di energia tali da distorcere la struttura dello spazio-tempo e creare una "schiuma" di buchi neri e vortici spaziotemporali che nascono e svaniscono in un istante... Se immaginassimo di rimpicciolirci al punto da entrare in un tale marasma, sperimenteremmo il caos più totale: viaggeremmo in continuazione nel passato e nel futuro, e non potremmo orientarci, perché le coordinate spaziali (si pensi a meridiani e paralleli) cambierebbero in continuazione.

L’ipotesi è stata formulata circa 50 anni fa dal fisico Usa John Archibald Wheeler, l’inventore del termine "buco nero". Ma solo oggi si cerca di sviluppare quest’idea fino ad includerla in una Teoria del Tutto. Le strade più accreditate sono due: quella della Teoria delle Stringhe e quella della cosiddetta "Loop Quantum Gravity".

Atomi dl spazio
«Secondo la Loop Quantum Gravity, lo spazio non può essere suddiviso all’infinito» spiega Carlo Rovelli, docente all’Università del Mediterraneo a Marsiglia e tra i fondatori di questa teoria «ma ha struttura granulare: esistono, cioè, grani "minimi" di spazio (così come la materia è composta da atomi), di larghezza simile alla lunghezza di Planck. E importante notare che questi grani non sono "immersi" in uno spazio esterno, ma sono essi stessi lo spazio».
Non solo, secondo la teoria anche il tempo è "granulare": «Non scorre come il fluire di un fiume» spiega Rovelli «ma "a scatti". Non ce ne accorgiamo perché ogni rintocco è brevissimo, con una durata paragonabile al tempo di Planck».

Corde vibranti o anelli?
La principale aspirante al titolo di Teoria del tutto è la Teoria delle Stringhe, secondo cui tutta la materia è composta da minuscole cordicine vibranti. Le particelle elementari come gli elettroni e i quark che si trovano negli atomi, per esempio, sono costituite da stringhe uguali, ma che vibrano in modi diversi. Oggi si comincia a pensare che le stringhe determinino anche le dimensioni "minime" dello spazio (non si può osservare niente di più piccolo).
Anelli di spazio. Ci sono, però anche altre teorie. La più promettente è la Loop Quantum Gravity, in italiano "Gravità Quantistica ad Anelli". Si chiama così perché in una sua formulazione prevede che lo spazio sia composto da tanti anelli intrecciati tra loro: una sorta di "tessitura" dello spazio, della quale gli anelli sono gli elementi "di base".

Cerchi senza centro
La teoria oggi più studiata, però, è quella delle Stringhe, secondo la quale tutte le particelle sono minuscole corde vibranti. In questo caso, s’ipotizza che la struttura più intima dello spazio e del tempo sia determinata dalle stringhe: «Si stima che siano una decina o un centinaio di volte più lunghe della lunghezza di Planck» spiega Gabriele Veneziano, tra i fondatori della teoria e docente al CERN di Ginevra e al Collège de France di Parigi.

«In un certo senso, la lunghezza delle stringhe è il limite oltre il quale non possono andare gli strumenti di misura, e perciò è anche la lunghezza minima di cui abbia senso parlare». Questo principio è ben più rivoluzionario di quanto possa sembrare a prima vista. Immaginiamo una stringa chiusa come un cerchio: ci viene spontaneo pensare che abbia un centro... ma quest’immagine è sbagliata, perché si basa sul nostro concetto tradizionale di spazio secondo il quale il centro del cerchio è un punto.

Nella Teoria delle Stringhe, però, i punti non esistono e quindi non può esistere neppure il "centro" di un’ipotetica stringa circolare, perché nulla può essere più piccolo della stringa stessa. «Il mondo delle stringhe non può essere descritto con il linguaggio tradizionale dello spazio e del tempo» dice Greene. «Bisogna sviluppare un nuovo linguaggio».

Oltre Io spazio e il tempo
David Gross aggiunge: «Tutto ciò cambierà probabilmente il nostro modo di pensare allo spazio e al tempo, e potrebbe perfino eliminare completamente questi due concetti come basi della nostra descrizione della realtà».

I principi fondamentali della realtà, insomma, sarebbero per così dire al di fuori dello spazio e del tempo. Lo spazio e il tempo, invece, "emergono" forse dall’unione di molti mattoni di base. Il concetto è molto astratto, ma è simile al fatto che la materia, come la intendiamo noi, è composta da atomi: i cristalli, l’acqua, la vita "emergono" anch’essi dall’unione di molti atomi.

Meglio la spiaggla !
La sfida è così ardua che gli scienziati sembrano aver perso la bussola. Durante la conferenza Solvay, si è discusso di tutto, e senza "tabù" concettuali. Per esempio, si è parlato della possibilità che esistano due dimensioni temporali... Che vuol dire? Che invece di avere tanti istanti di tempo ordinati uno dietro l’altro, in successione dal passato verso il futuro come fotogrammi di un film, i vari istanti di tempo sarebbero dispersi in due dimensioni, come fotogrammi sparsi su un tavolo. Con quali conseguenze? Che si perderebbe la nozione del prima e del dopo e, forse, anche il principio di causa ed effetto... «Non si può dubitare di tutto» si è però lamentato uno scienziato «altrimenti faremmo meglio ad andare in spiaggia invece di stare qui a discutere».

Spesso, però, in fisica, i momenti di grande crisi prefigurano grandi rivoluzioni. Ed è anche possibile che, in futuro, la Teoria delle Stringhe e la Loop Quantum Gravity convergano in un unica Teoria del Tutto. «Forse stiamo sviluppando la stessa teoria fondamentale da due punti di vista diversi» dice Greene.

Cercasi esperimenti
Il difetto delle attuali teorie, però, è che hanno perso contatto con la realtà. Non esistono, infatti, strumenti per osservare quel che accade alla lunghezza di Planck (la più piccola lunghezza misurata è "solo" di 10-16 cm, circa un miliardesimo del diametro di un atomo).
Anche se altri esperimenti, in corso di preparazione, potrebbero fornire elementi utili di confronto.

L’acceleratore di particelle LHC (Large Hadron Collider) in costruzione al CERN di Ginevra, per esempio, potrebbe scoprire nuove particelle previste dalla teoria.
Gli studi ad altissima precisione delle orbite planetarie, invece, potrebbero dimostrare l’esistenza di dimensioni nascoste. La prossima generazione di osservatori di onde gravitazionali, infine, potrebbe darci informazioni sui primissimi istanti dopo il
Big Bang e forse anche prima, cioè, di quella che è tradizionalmente considerata "l’origine del tempo".

Prima del Big Bang? Forse un buco nero
La Teoria del tutto ambisce a spiegare anche l’origine dell’universo. Allo stato attuale, ci sono più ipotesi... e tutte concordano su un punto: c’era qualcosa prima del Big Bang, la grande esplosione con la quale 13,7 miliardi di anni fa si è formato il Cosmo.
Secondo Gabriele Veneziano, fisico del CERN di Ginevra, all’origine ci sarebbe stato un oceano molto diluito di stringhe. A un certo punto si sarebbe creato un buco nero, dal quale sarebbe infine "sbocciato" il nostro universo. Secondo la teoria Loop Quantum Gravity, invece, nel momento del Big Bang era molto evidente la struttura "granulare’ dello spazio e del tempo.
«All’inizio c’era un unico "granulo" di dimensioni paragonabili alla lunghezza di Planck» spiega Abhay Ashtekar, docente alla Pennsylvania State University (Usa), «che si è moltiplicato "a cascata" fino a generare tutto lo spazio»...
E che cosa c’era prima? «Secondo le simulazioni c’era un altro universo che si stava contraendo per poi dare origine al Big Bpng» dice Ashtekar: «E un’ipotesi simile a quanto previsto dalla Teoria delle stringhe».


Ai nostri antenati la natura doveva sembrare alquanto bizzarra. C’erano per esempio fenomeni che facevano letteralmente rizzare i capelli, come l’elettricità statica che si sviluppa quando c’è un temporale. E c’erano pietre (magnetiche) che misteriosamente attiravano pezzi di ferro.

Nessuno immaginava che le due cose fossero collegate. E invece, nel 1873, lo scienziato britannico James Clerk Maxwell dimostrò che si trattava di due facce della stessa medaglia, cioè che le forze elettriche e quelle magnetiche erano in realtà due aspetti di un’unica forza: l’elettromagnetismo.

Mele cadenti
Maxwell unificò, insomma, i fenomeni elettrici e quelli magnetici. E non fu l’unico. La spinta all’unificazione, cioè a spiegare il maggior numero di fenomeni naturali in base al minor numero possibile di principi, ha segnato tutti i più grandi successi della fisica.

Il primo a compiere una grande unificazione fu proprio il padre fondatore della fisica: Isaac Newton. Prima di lui si pensava a grandi linee che il mondo dei cieli fosse regolato da leggi divine, geometriche e perfette. Mentre si riteneva che il mondo della Terra fosse imperfetto e spesso imprevedibile.

Newton fu il primo a trovare una legge che spiegava al tempo stesso la ragione per cui le mele cadono dagli alberi e quella per cui la Luna gira attorno alla Terra. Fu il primo, cioè, a "unificare" i fenomeni celesti e quelli terrestri spiegandoli in base a un principio unico: la forza di gravità.

La bellezza dell’universo
La sua legge della gravitazione universale è così precisa che fu usata anche per calcolare la traiettoria delle navicelle Apollo che portarono l’uomo sulla Luna. Ma non è una teoria perfetta. E a riformularla ci pensò Albert Einstein, nel 1915, con la Relatività Generale.

Einstein era convinto che le leggi fisiche riflettessero il progetto divino del mondo: dovevano, perciò, essere semplici e "belle" da un punto di vista matematico. Per questo motivo, era convinto che l’universo avesse una spiegazione matematica e cercò a lungo una Teoria del tutto che spiegasse tutti i fenomeni fisici allora noti: la gravità e l’elettromagnetismo. A guastare le feste a Einstein, però. arrivò la scoperta di nuove forze: la forza nucleare debole e quella forte. La prima è "colpevole" della radioattività, la seconda dell’energia che si sprigiona con una bomba nucleare.

La Teoria del Tutto che cercano gli scienziati dovrà "unificare" le 4 forze della natura. E dovrà anche superare la divisione che c’è oggi tra la relatività dì Einstein, che descrive i movimenti stellari e l’universo nel suo complesso e la meccanica quantistica d Planck che spiega il mondo delle particelle elementari.
Le due teorie, separatamente, descrivono bene tutta la realtà. Ma sono anche incompatibili, come tessere di un puzzle che non combaciano.
La relatività, per esempio, permette dl calcolare con precisione Il movimento degli oggetti; Nella meccanica quantistica, invece vale Il
principio di indeterminazione e la posizione delle particelle si può conoscere solo con una certa probabilità. Entrambe le teorie, inoltre, perdono significato in condizioni estreme, come all’interno dei buchi neri.
La Teoria del tutto che stanno cercando i fisici deve risolvere tutti questi problemi: spiegare l’indeterminazione microscopica e la precisione del movimenti dei pianeti, rivelare ciò che avviene nei buchi neri e anche come si è formato il nostro universo.

La relatività? Non basta.
Einstein dedicò gli ultimi trent’anni della sua vita
a cercare una Teoria del tutto. Ma fallì.
«Sono diventato un vecchio solitario che è conosciuto principalmente perché non indossa le calze ed è esibito come una curiosità in occasioni speciali». Così scriveva Einstein a un amico, agli inizi degli anni ‘40, quando si era ormai isolato dalla comunità scientifica e lavorava per conto suo alla Teoria del tutto.
Ma che cosa aveva in mente? Vortici di tempo. Einstein voleva estendere la relatività fino a includere tutti i fenomeni noti. Insieme allo scienziato israeliano Nathan Rosen, per esempio, ipotizzò nel 1935 che le particelle elementari fossero minuscoli vortici di spazio tempo.
L’idea non funzionò. Ma quegli studi furono ripresi mezzo secolo dopo da scienziati che teorizzavano la costruzione di tunnel spaziotemporali per viaggiare nel tempo (i cosiddetti "wormhole").
Dimensioni nascoste. Einstein ragionò anche su un’idea che gli fu proposta nel 1919 dal fisico Theodor Kaluza: le forze elettriche e magnetiche nascerebbero dalle proprietà di una quarta (e invisibile) dimensione spaziale, arrotolata su se stessa come una cannuccia. L’ipotesi anticipava la Teoria delle stringhe, che però di dimensioni nascoste ne ha 7.

Tante, troppo particelle
La teoria che cercava Einstein, perciò, non potendo includere queste nuove forze, non poteva essere una Teoria del tutto. Lo scienziato continuò ostinatamente le sue ricerche, Ma alla sua morte, il 18 aprile 1955, non rimase più nessuno a cercare la Teoria del tutto.

I fisici, infatti, erano in quel periodo galvanizzati dalla scoperta di nuove particelle. Fino a quando, negli anni ‘60, di particelle se ne trovarono anche troppe, e tra gli esperti c’era confusione.

Avvennero, però, nel giro di pochi anni progressi straordinari. Si scoprì che i mattoni fondamentali dei nuclei atomici (e di molte altre particelle) erano i QUARK: e ciò semplificò molto il quadro della situazione. Non solo: un gruppo di fisici teorici (tra cui Sheldon Glashow, riuscì in un certo senso a fare ciò che non era riuscito a Einstein: "unificare" due forze della natura e farle emergere da un unico principio più generale.

L’unione fa la forza
L’unificazione interessò l’elettromagnetismo e la forza nucleare debole: in pratica, si scoprì che le forze responsabili delle correnti elettriche, quelle magnetiche che fanno girare l’ago di una bussola e quelle che rendono l’uranio radioattivo sono tutte riconducibili a un’unica "forza elettrodebole".

Perché non ci aveva pensato nessuno? Perché questa unificazione si verifica solo a temperature di milioni di miliardi di gradi. In ogni caso, fu un successo. E subito si pensò a come "unificare" anche la forza nucleare forte alle altre due per ottenere ciò che fu chiamato Grande Unificazione. I fisici ci provarono con convinzione fino a tutti gli anni ‘80, ma invano: riuscirono solo a sintetizzare tutte le conoscenze fino ad allora acquisite nel cosiddetto Modello Standard ... Si erano dunque arresi? Neanche per sogno. Cambiarono metodo di lavoro. E rimisero in discussione i concetti di "spazio", di "tempo" e di "materia".

L’Era delle Stringhe
La svolta avvenne nel 1985, quando fu dimostrato che una teoria fino ad allora quasi sconosciuta, la Teoria delle stringhe, era potenzialmente in grado di descrivere tutte e 4 le forze della natura. E anche di risolvere le contraddizioni tra le due grandi teorie del secolo scorso: la meccanica quantistica e la relatività.

I giornali cominciarono così nuovamente a parlare, per la prima volta dopo Einstein, di Teoria del tutto. Era nata una nuova era della fisica: quella delle stringhe.


Abbiamo capito Dio?

Comprendere le leggi della natura
significherebbe avere
la padronanza sull’universo

Se esistesse una formula che chiarisce tutto,
potremmo prevedere il futuro.
Ma non spiegheremmo la libertà.

Leggere nella mente di Dio. E questo, in un certo senso, l’obiettivo dei fisici: la ricerca della formula che esprima in termini matematici il progetto divino del mondo, la Legge della natura.
Ma quanto è realistico questo obiettivo? Esiste davvero un’unica formula capace di tutto ciò? E, se pure esistesse, ci permetterebbe di calcolare il nostro destino? Sarebbe questo un limite per la nostra libertà?

Questi sono gli affascinanti interrogativi che solleva la ricerca della Teoria del tutto. E sono tutti legati al concetto di "legge di natura": un concetto che ha le sue radici nella teologia prima ancora che nella scienza.

Tommaso e Newton
Già nel Medioevo, i teologi discutevano su come spiegare la regolarità dei fenomeni naturali, dalle maree all’alternarsi del giorno e della notte.

Tommaso d’Aquino concluse che la natura segue leggi stabilite da Dio. «E un’eco di questa concezione si ritrova anche negli scritti di Isaac Newton» spiega Giulio Giorello, docente di filosofia della scienza all’Università di Milano.
Newton fu il padre della fisica moderna perché creò uno schema matematico per descrivere la realtà e prevedere il manifestarsi di avvenimenti astronomici fino ad allora considerati "divini", come le comete.
Non stupisce, quindi, che anche attraverso le sue opere il vecchio concetto di legge di natura si sia trasformato in quello di "legge fisica".

Paradossi divini
Il concetto di legge di natura, però, ha anche alcune insidie. Se ne accorsero già i teologi medievali, che si ponevano domande di questo tipo:
se queste leggi sono perfette (in quanto divine), Dio è obbligato a rispettarle? Oppure può sovvertirle (negando, così, la perfezione delle sue stesse leggi)?
Un altro dubbio era il seguente: se Dio tutto può e sa tutto, conosce anche ciò che faremo nel futuro. Ma allora come facciamo a scegliere liberamente il nostro destino?

Dio non gioca a dadi
I teologi hanno "risolto" questi paradossi affermando, per esempio, che non possiamo comprendere tutto di Dio. Ma un dubbio ha continuato a serpeggiare nei secoli fino a oggi: siamo liberi o siamo schiavi delle leggi di natura, come robot che seguono comandi già programmati?

Rispondere non è facile, anche perché, per farlo, bisognerebbe essere certi che le leggi di natura esistano e bisognerebbe anche conoscerle.

Nell’800, molti fisici s’illusero di avere tra le mani una teoria definitiva, capace di calcolare tutto: la meccanica di Newton. Si arrivò a pensare che il Cosmo fosse qualcosa di simile a un gigantesco orologio svizzero. E si narra il seguente aneddoto. Un giorno, il fisico francese Pierre Simone de Laplace spiegò a Napoleone la sua visione dell’universo. Napoleone avrebbe detto: "Interessante. Ma che posto ha Dio in questo schema?" Laplace avrebbe risposto: "Dio? Non ho bisogno di questa ipotesi".

Nel 1927, però, il fisico tedesco Werner Heisenberg mostrò che, nel mondo microscopico, quanto meglio si sa dove si trova una particella in un istante, tanto meno si può prevedere dove sarà in futuro (è il "principio di indeterminazione"). Il destino, quindi, non esiste.

Einstein non amava questo principio e lo liquidò con un’espressione divenuta celebre: "Dio non gioca a dadi". La probabilità e l’indeterminazione, secondo Einstein, nascono dalla nostra ignoranza di leggi più profonde, così come il risultato di un lancio di dadi è imprevedibile solo se non siamo in grado di calcolarne la traiettoria. Oggi si ritiene che le leggi fondamentali debbano includere il principio di indeterminazione ed essere perciò probabilistiche. Ma non c’è una conclusione definitiva.

O Natura variegata
Alcuni studiosi, però, contestano le convinzioni di Einstein da un altro punto di vista: sostengono che non può esistere un’unica legge per spiegare tutta la realtà.

«Il matematico francese René Thom (fondatore della "teoria delle catastrofi") sosteneva di credere nella "irriducibile pluralità dell’essere"» dice Giorello. Secondo Thom, cioè, la molteplicità di forme che ci circonda non può essere spiegata con una sola teoria che descrive solo le particelle elementari: date le leggi dei quark, non è possibile "calcolare" un uomo, per esempio, anche se si disponesse di un computer infinitamente potente. Come dargli torto? I nostri supercomputer non sanno calcolare con esattezza nemmeno la struttura di un solo atomo... flguriamoci il resto!

Energia misteriosa
E non finisce qui. C’è anche un’altra potenziale "insidia" per la Teoria del tutto cercata dagli scienziati: «Se pure si trovasse una teoria che unifichi le 4 forze fondamentali, potrebbe non essere definitiva» aggiunge Giorello.

«Potrebbero esistere altre forze fondamentali, ancora sconosciute perché troppo deboli». Gli astronomi, per esempio, dicono che il cosmo si sta espandendo sempre più velocemente, spinto da una misteriosa "energia oscura" , che secondo alcune ipotesi potrebbe essere causata da una nuova (e debolissima) forza della natura.

Senza fine
Aspettarsi che esista una Teoria del tutto capace di descrivere l’intero universo è allora una sfida troppo audace? «In passato è successo spesso che le scoperte più rivoluzionarie siano avvenute proprio quando si pensava che non ci fosse più nulla da scoprire» dice Giorello.

«A fine ‘800, in Prussia, si voleva chiudere l’ufficio brevetti perché si pensava che tutto fosse già stato scoperto. Pochi anni dopo, nell’ufficio brevetti di Berna, Einstein scopriva la relatività e contribuiva a fondare la meccanica quantistica».

Le conquiste della scienza, insomma, non sono mai definitive.

«Sono convinto che la caratteristica principale della scienza sia la ricerca, non il possesso della verità» conclude Giorello.
«E sono d’accordo con quanto afferma scherzosamente George Coyne, direttore dell’Osservatorio Vaticano: "State attenti a leggere nella mente di Dio, potreste fare errori di lettura"...».

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