Topi d’azienda

Topi d’azienda

                                                     

 

Chi crede che con il denaro si possa fare qualsiasi cosa è disposto a fare qualsiasi cosa per denaro.

Beauchene

 

 

L’impresa, nel suo complesso, trae vita attraverso l’accensione di un grosso debito di risorse, in denaro, nei confronti del suo ambiente, cioè dapprima verso i soci fondatori e, successivamente, verso terzi finanziatori.

Tale debito verso l’ambiente, prima o poi, deve essere ripagato. È il momento in cui l’organismo, sia esso animale, vegetale o economico, si estingue e muore.

 

Se ho ben capito, il meccanismo opera a molti livelli.

 

Il meccanismo del “nulla che diventa qualcosa” opera anche nel mondo inanimato, addirittura nel vuoto.

Sappiamo infatti che, per il principio di indeterminazione di Heisenberg, il cosiddetto vuoto quantistico brulica di particelle virtuali che, incessantemente, emergono dal nulla assieme alle rispettive antiparticelle, per annichilirsi reciprocamente in un periodo di tempo di durata inversamente proporzionale all’energia delle particelle stesse.

 

È un periodo di tempo lungo o breve?

 

È un periodo estremamente breve, in cui è possibile che sia violato il principio di conservazione dell’energia.

Questo concetto può applicarsi proficuamente allo studio dell’impresa, dando origine a fenomeni economicamente utili, se realizzato nel modo appropriato, oppure a fenomeni dannosi o addirittura illeciti, se c’è animus fraudolentus.

Uno dei fenomeni più importanti è il ricorso al credito.

L’impresa aumenta l’importo dei mezzi finanziari a propria disposizione barattando con una banca un finanziamento certo e immediato contro una generica capacità di rimborso basata sulla potenzialità di generazione di adeguati flussi finanziari futuri.

 

Questo però è normale e molto utile. Non ci vedo niente di dannoso o illecito.

 

Questo è normale e utile, anzi, è ciò che contribuisce allo sviluppo dell’economia nel suo complesso: cioè il moltiplicarsi delle risorse finanziarie, messe a disposizione di chi può usarle.

In pratica, è come se il denaro fisicamente esistente non bastasse per comprare tutto quello che si progetta di comprare e che quindi l’economia, nel suo complesso, sia in grado di moltiplicare il denaro, in modo virtuale, semplicemente facendolo circolare più velocemente.

Tutto questo è fisiologicamente corretto se l’impresa riesce effettivamente a ripagare il suo debito verso l’ambiente nei tempi connessi alla sua potenzialità di generare risorse finanziarie.

 

E se non riesce? Cosa succede, come si fa ad accorgersene?

 

Se non riesce, cioè se tecnicamente la gestione economica dell’impresa non genera sufficienti risorse, si può riapplicare il principio del “nulla che diventa qualcosa” ed estinguere un debito già esistente per mezzo dell’accensione di un altro debito, rinnovandolo presso lo stesso finanziatore, o di un nuovo debito nei confronti di un terzo, come spesso si verifica.

 

Questa mi pare una manovra potenzialmente pericolosa.

 

Non è detto. Occorre valutare attentamente la reale situazione dell’impresa. Se la mancata capacità di generare risorse è solo temporanea, nessuna paura: il nuovo debito sarà alla fine ripagato, senza conseguenze.

Ma se l’impresa ne è strutturalmente incapace, per motivi gestionali o di mercato oppure per obsolescenza tecnologica, allora il nuovo finanziamento non sarà che un rimando del problema.

Questo rimando costituirà un evento dannoso per l’economia nel suo complesso, poiché avrà sottratto risorse al sistema costituito dalle altre imprese più sane, che avrebbero potuto creare ulteriore ricchezza.

 

Si può ipotizzare che alcuni imprenditori falliscano volontariamente, al solo scopo di appropriarsi dei fondi finanziati incautamente dalle banche, per poi sparire come cassieri infedeli con la cassa?

 

Non sono rari questi casi. Infatti, per difendersi, il sistema bancario cerca di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni su imprese e imprenditori, proprio per evitare una eccessiva esposizione nei confronti di un solo soggetto.

Il sistema prende il nome di Centrale dei Rischi: tutte le banche comunicano a un ente centralizzato le operazioni svolte con imprese e imprenditori, e, interrogando tale sistema, le banche possono, a loro volta, conoscere l’importo dell’esposizione totale del sistema nei confronti di ciascun soggetto.

A quel punto, però, è spesso troppo tardi: probabilmente una banca, quando arriva a sospettare che il limite sia stato superato, si trova già in una situazione curiosa, un vortice perverso che porta alla rovina sicura, e che si trova citata, sotto altra forma, tra i casi di studio della teoria dei giochi.

 

Se fai un esempio, capisco meglio.

 

Sì, ipotizziamo un tale che metta all’asta un proprio assegno di 1.000 euro. I termini dell’asta sono questi: darò l’assegno al miglior offerente e in cambio incasserò l’importo delle due migliori offerte che mi verranno fatte.

 

È un’asta un po’ bizzarra, visto che paga l’importo dell’offerta non solo quello che vince e ritira l’assegno, ma anche quell’altro che non vince nulla: paga e basta per il solo fatto di essere arrivato secondo!

 

È questo il meccanismo perverso. Vediamo cosa succede. Uno offre 1 euro, un altro 2, un altro 3, un altro ancora 4.

Chi ha già offerto 1 euro adesso è disposto a offrirne 5, tanto il guadagno sarà ancora di 995. Ma anche chi ha già offerto 2 o 3 o 4 vorrà, per lo stesso motivo, offrire 6.

 

È una corsa che finisce inesorabilmente, quando il primo arriva a offrire 999. Nessuno vorrebbe offrire 1.000 per avere in cambio 1.000.

 

Errore! In un’asta normale sarebbe così: infatti non vi sarebbe più convenienza a proseguire le offerte e il migliore che offre 999 si porta via l’assegno di 1.000, guadagnando 1 euro.

Ma in questa asta particolare paga anche il secondo classificato; pertanto chi ha offerto 998 sarà ora disposto a offrire 1.000, anche senza alcun guadagno, pur di non perdere 998.

 

Ma ora tutto finisce…

 

Niente affatto! Chi ha offerto 999 ora sarà disposto a offrire 1.001 ¾ perdendo 1 euro! ¾ pur di non arrivare secondo. E così il 1.000 offrirà 1.002 perdendo 2 per non perdere 1.000.

La corsa può continuare così senza limiti, con offerte sempre più alte a oltranza, nel miraggio irrealizzabile di ridurre al minimo una perdita ormai inevitabile.

 

Ma questo è un esempio di scuola. Cosa c’entra col mondo reale e le banche vere in particolare? Loro hanno la Centrale dei Rischi.

 

C’entra perché, quando pure una banca si renda conto che il sistema nel suo complesso è effettivamente troppo esposto verso una singola impresa ed esiste un rischio concreto, raramente prende l’iniziativa di cristallizzare la situazione e di limitare le perdite all’esposizione finanziaria attuale chiedendo il fallimento.

Accade spesso, invece, che la banca, nella speranza che l’impresa possa risanarsi, non esiti a rinnovare, se non ad aumentare, il credito concesso.

Non è raro che anche le altre banche agiscano nello stesso modo, innescando il meccanismo perverso dell’asta bizzarra di prima.

Cosa ancor più grave, questo non avviene tanto con le piccole imprese ¾ una banca non si fa tanti scrupoli a far chiudere una piccola azienda e a perdere il suo misero credito di 10.000 euro ¾ quanto per le grandi o grandissime imprese, dove decidere di rinunciare a cento milioni di euro, che potrebbe essere la mossa migliore per evitare perdite peggiori, non è semplice.

 

E così si innesca una corsa contro il tempo. Tra l’altro nessun funzionario di banca vorrà passare alla storia per quello che ha azzerato un credito di cento milioni di euro.

 

E il tempo gioca un ruolo anche in questo. Raramente ci si ricorderà del funzionario che ha erogato il primo finanziamento, anche perché spesso questo importo è cresciuto a poco a poco, e quel funzionario magari è già in pensione.

 

E se l’attuale funzionario, prolungando artificialmente e indebitamente la vita dell’impresa, riuscisse a rimandare il redde rationem fino alla propria pensione…

 

Questo meccanismo viene in qualche modo dimostrato dal fatto che ¾ senza alcune pretesa di voler indicare proporzioni reali ¾ se un’impresa lavora con 2 banche, ottiene un credito totale pari a 200, mentre, se lavora con 5 banche, ottiene, ad esempio, credito per 400. Ma l’impresa è sempre la stessa, e la sua capacità di rimborso non dovrebbe variare col numero dei conti aperti.

 

Mi vengono in mente almeno due nomi famosi di grandissime imprese che si sono trovate negli ultimi anni in queste condizioni e che, tra l’altro, avevano azioni quotate in Borsa e hanno portato alla rovina migliaia di piccoli risparmiatori.

Ritornando all’idea dell’asta bizzarra, mi accorgo che il meccanismo si applica anche a una moltitudine di situazioni della vita reale, e non soltanto per i risvolti economici.

 

È verissimo. Il principio si applica ogni volta che ci si accorge di procedere in un’attività che si manifesta inutile o addirittura dannosa ma si prosegue ugualmente per non sprecare l’energia e le risorse già investite in tale attività.

 

Quante coppie stanno insieme senza soddisfazione, solo per non sprecare l’investimento affettivo già fatto?

 

E quanti libri inutili sono stati scritti fino alla fine solo per non sprecare il tempo speso per le poche ricerche utili già fatte…

 

Stai toccando un tasto personale…

 

Sì, torniamo alle azioni quotate. Un tempo era diffusa una manovra come questa: si possiedono 1.000 euro e si investono in azioni; si depositano in banca come garanzia e si ottiene un finanziamento pari al 90% del valore, pari a 900 euro; si investono anche questi in azioni e si ottiene un altro finanziamento pari a 810 euro, e così via.

In pratica, disponendo di soli 1.000 euro, dopo 30 passaggi, si possono possedere azioni per un totale di 9.600 euro, moltiplicando in tal modo le possibilità di guadagno, ma anche di perdita! Molti finanzieri sono finiti in rovina così.

 

Basta, basta. Mi gira la testa. Non possiamo parlare di argomenti più leggeri?

 

Cambiamo pure argomento, ma sempre nel filone del “nulla che diventa qualcosa” applicato all’impresa. Ti piace il gioco del calcio?

 

Il gioco sì, il “calcio” attualmente non tanto, ma passerà anche questa. Anche lì si traffica col nulla?

 

Non i calciatori (non tutti almeno), ma molte società di calcio sì.

Abbiamo tutti notato, negli ultimi anni, un altro vortice perverso, una corsa al rialzo che coinvolge gli stipendi dei calciatori.

Poiché i ricavi delle società di calcio derivano dai biglietti dello stadio e, in misura sempre maggiore, dai diritti televisivi, è molto facile che alcune finiscano per trovarsi in difficoltà al momento di chiudere il bilancio.

In quanto società, sono tenute al rispetto delle norme in materia ¾ alcune hanno addirittura azioni quotate in Borsa ¾ e sorge il problema di non evidenziare perdite tali da dover portare “senza indugio” i libri in Tribunale, visto che i loro presidenti, in genere, non hanno possibilità di ripianarle.

 

Non è facile risolvere la questione. I ricavi dei biglietti sono quelli che sono, non si possono aumentare più di tanto; i diritti televisivi non sono agevolmente negoziabili, soprattutto dalle società di media e bassa classifica, e gli stipendi dei calciatori inseguono inesorabilmente i livelli delle squadre più in vista. Sono un po’ una variabile indipendente, come si sosteneva una volta dei salari degli operai. Non credo che si possa truccare il bilancio più di tanto.

 

Beata ingenuità. Hai mai sentito parlare di quel cane da un milione di euro scambiato con due gatti da mezzo milione? Per i calciatori è lo stesso.

Si prende un calciatore di livello medio-basso (un cane?) magari appena arrivato dal vivaio a costo quasi zero, e lo si vende alla società X per 10 milioni di euro: si realizza una plusvalenza netta di circa 10 milioni!

La società x ricambia la cortesia, rivendendo a sua volta un analogo calciatore per il modico prezzo di 10 milioni di euro, realizzando una plusvalenza netta di circa 10 milioni!

Ed ecco che i due bilanci sono miracolosamente risanati: basta avere l’accortezza di calcolare le plusvalenze in modo da azzerare esattamente le perdite di gestione.

 

Guai a uscire in utile. Nemmeno un centesimo deve andare al Fisco!

 

E così facendo, non c’è neppure bisogno di spostare denaro: compro a 10 e vendo a 10 alla stessa società. Compenso credito e debito e guadagno lo stesso quello che voglio.

 

Però, così facendo, la società X si trova in carico un calciatore mediocre per la bellezza di 10 milioni di euro. Alla fine il gioco non regge più.

 

Alla fine no. La società x deve ammortizzare il calciatore sulla base del suo nuovo valore, e gli ammortamenti sono voci che incidono negativamente sul reddito, inoltre ¾ Dio non voglia ¾ il calciatore può infortunarsi e dover smettere di giocare. Allora la perdita sarebbe totale e immediata.

La soluzione, in mancanza di migliori ricavi, consiste nel prolungarsi la vita rifacendo lo stesso trucco l’anno successivo, e ancora, e ancora.

Ma a un certo punto i valori diventano tali che nessun bilancio può sopportarli e la società deve restituire il suo “debito verso l’ambiente” nel modo più clamoroso.

 

Adesso che ci penso, e che ho capito di più, mi sembra di ricordare di aver letto sui giornali sportivi l’esistenza di contenziosi e di inchieste sulle famose “plusvalenze”. Ecco com’era la storia!

Non ci sono manifestazioni aziendali più pacifiche di questo principio del “nulla che diventa qualcosa”?

 

Purtroppo non tante. Come spesso accade, un’idea genera 10 buone conseguenze, 100 cattive e 1.000 pessime.

Se vogliamo completare l’argomento, possiamo citare anche l’uso improprio che può essere fatto dell’operazione finanziaria di Leveraged Buy-Out: se l’operazione non viene fatta per sani principi economici, cioè di sviluppo sostenibile di impresa, ma solo per convenienza fiscale o per poter controllare surrettiziamente un gruppo di imprese più grande di quello che fisiologicamente sarebbe possibile, ecco che si realizza un evento economicamente dannoso, suscettibile anche di portare le imprese coinvolte in situazioni disastrose.

 

Negli ultimi anni alcune grandissime imprese a livello nazionale, oggetto di privatizzazioni e con azioni quotate in Borsa, sono state oggetto di operazioni di Leveraged buy-out.

 

Queste operazioni, a suo tempo, sono state considerate capolavori di ingegneria finanziaria ma hanno lasciato le imprese coinvolte in grave difficoltà.

 

Parliamo anche di piccole cose, ma non per questo meno importanti.

 

Mai sentito parlare dei white-collar crimes?

 

Certo. Gli illeciti perpetrati dagli impiegati delle imprese. Anche loro usano il principio del “nulla che diventa qualcosa”?

 

L’hanno scoperto anche loro, e lo usano con sorprendente maestria.

Facciamo il caso più semplice. Il cassiere preleva qualche centinaia di euro dal cassetto e scappa al mare con la velina di turno.

 

Ma poi deve tornare.

 

Proprio per questo il nostro cassiere, che non è uno sprovveduto, ha organizzato le cose per bene. Ha studiato le procedure aziendali e ha accertato che il suo capo è tenuto a effettuare un conto cassa, a sorpresa, una volta alla settimana.

Qui ci sono già due elementi importanti. La procedura prevede “una volta alla settimana” e “a sorpresa”.

E il capo lo fa. Ma poiché si tratta di una seccatura che non porta mai a niente, ha tacitamente deciso di farlo tutti i venerdì, un’ora prima della chiusura. Tanto, a chi vuoi che interessino pochi euro? E, poi, il cassiere è persona fidatissima, da vent’anni.

Il cassiere, così, sa di poter prelevare ogni venerdì sera l’intero importo di denaro in cassa, a patto di restituirlo almeno entro il venerdì successivo, in tempo per il controllo.

 

Vista così, verrebbe quasi da chiedersi cosa ci sia di male. Il cassiere usa temporaneamente il fondo cassa e, per continuare a farlo, lo reintegra in tempo utile.

 

Se ben rifletti, tutto ciò assomiglia moltissimo al principio di indeterminazione applicato al fondo cassa.

In pratica: ruba quello che vuoi, ma restituiscilo prima che ti trovino.

E anche la durata del “prelievo” varia, in un certo senso, in funzione dell’importo: si può ipotizzare che il capo verifichi la cassa una volta la settimana se il fondo è di qualche centinaia di euro; ma in banca, dove si parla di centinaia di migliaia di euro, il controllo è giornaliero.

 

Mia piace questa analogia, senza dubbio appropriata, anche se non esprimibile per mezzo di una formula esatta.

 

Chiediamoci però in cosa consista il male. Finché il denaro va e torna, ok, transeat, anche se in alcuni giorni potrebbero sorgere difficoltà in caso di necessità di pagamenti di importo elevato.

Il fatto è che la velina tende a non accontentarsi più di tre giorni al mare: ora vuole tre settimane e non a Sottomarina, bensì alle Maldive, e il povero cassiere deve prelevare sempre di più, finché non riesce più a restituire entro venerdì.

 

Mi sembra di ricordare che questo modo di intercettare i fondi e usarli temporaneamente per propri scopi vada sotto il nome anglosassone di “lapping”.

 

Il caso classico è quello dell’agente di commercio che incassa un credito da un cliente e invece di versarlo in azienda se lo intasca.

La volta successiva incassa denaro da un secondo cliente, lo intasca, ma versa in azienda l’importo preso dal primo.

Poi incassa denaro da un terzo cliente, lo intasca, e versa in azienda l’importo preso dal secondo, e così via, per un periodo indefinito.

È un metodo classico, che viene scoperto solo da un buon ragioniere revisore dei conti, quando chiede a un campione dei clienti dell’impresa di confermargli per iscritto, non solo il saldo da loro dovuto a una certa data, ma anche la tempistica dei pagamenti effettuati nell’esercizio.

 

L’imprenditore deve stare all’erta.

 

Le frodi ai danni delle imprese sono essenzialmente di due tipi: quelle che possono essere occultate in modo permanente e quelle appena esaminate, che sono temporanee.

È chiaro che il sogno del disonesto è riuscire a evitare in modo permanente di dover restituire il maltolto, senza essere scoperto, ma questo risultato è probabile quasi come una vincita al lotto, a meno di fuggire in qualche paese non troppo incivile ma che non preveda l’estradizione per questi reati.

Secondo la mia esperienza, la maggior parte delle frodi di questo tipo è stata perpetrata da impiegati che hanno costruito la propria fama di onestà e dedizione assoluta nel corso di periodi lunghissimi, anche decenni, prima di sferrare il colpo finale.

 

 

Cos’è rapinare una banca a paragone

del fondare una banca?

Bertolt Brecht

 

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